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Hello world!
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Come il mare d’inverno.
Il colore, il suo movimento, le cose che trasmette? Mi sento un po’ così, adesso.
Come il mare d’inverno.
Le spiagge sono deserte: solo Lui le abita, le vive e le anima.
E su quelle spiagge, vomita tutto lo schifo che gente maleducata ed incivile e non curante gli ha buttato dentro.
Ed è così tanto una furia, il mare d’inverno, che è capace di distruggere o, per lo meno, allontanare anche quanto di più bello ha in sè, la vita marina.
Solo un’immagine, in questo momento.
Ossi di seppia.
Ricordo le prime volte, quando entrai a contatto con quest’immagine passeggiando sulla spiaggia di Marsala e chiedevo a papà cosa fossero.
Adesso, a quell’innocente ignoranza, aggiungo una consapevole cultura [letteraria].
Insomma…anche l’osso di seppia è un "residuo", buttato fra tutte le altre macerie, vittime del mare e della sua forza.
Mare e male.
Pensa te..cambia solo una lettera.
Così come, in francese, mer e mère. Mare e madre. Ma il suono è lo stesso, mer…
Vabbè. Variazioni di colore e di significato sulla frontiera, su confini evenescenti, fissati solo su una cartina geo-politica, non di sicuro nella mia mente.
Mi manca il mare.
Mi manca la semplicità ed i sorrisi della mia vita.
Mi sento fuori luogo.
E gli occhi, i miei, lo gridano.
Perchè si ha sempre così tanta paura del mare d’inverno?
Eppure..quant’è dolce il profumo del mare d’inverno?
Il mare d’inverno / è solo un film in bianco e nero / visto alla tv / e verso l’interno / qualche nuvola dal cileco / che si butta giù / sabbia bagnata / una lettera che / il vento sta portando via / punti invisibili / rincorsi dai cani / stanche parabole di vecchi gabbiani / e io che rimango qui sola / a cercare un caffè / il mare d’inverno / è un concetto che il pensiero non considera / è poco moderno / è qualcosa che nessuno mai desidera / alberghi chiusi / manifesti già sbiaditi di pubblicità / macchine tracciano solchi su strade / dove la pioggia / d’estate non cade / e io che non riesco / nemmeno a parlare con me / Mare mare / qui non viene mai nessuno / a trascinarmi via / mare mare / qui non viene mai nessuno / a farci compagnia / Mare mare / non ti posso guardare così / perchè questo vento / agita anche me / questo vento agita anche me…
Passerà il freddo / e la spiaggia lentamente / si colorerà / la radio e i giornali / e una musica banale si diffonderà / nuove avventure / discoteche illuminate / piene di bugie / ma verso sera uno strano concerto / e un ombrellone che rimane aperto / mi tuffo perplessa / ai momenti vissuti di già / Mare mare / qui non viene mai nessuno / a trascinarmi via / mare mare / qui non viene mai nessuno / a farci compagnia / Mare mare / non ti posso guardare così / perchè questo vento / agita anche me / questo vento agita anche me / mare mare, qui non viene mai nessuno a trascinarmi via / Mare mare…
Loredana Bertè, Il mare d’inverno
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Ritrovarsi, nei colori.
Pesantore invadente, per una mattinata di sole lungo il Po finita con un gran temporale, nella mia testa.
Cerco di scappare, da quel temporale; mi ritrovo prima del previsto sul treno.
Accanto a me un signore che parla senza poter parlare. Mi fa impressione quella voce metallica, ma automaticamente sento spontaneo nascere in me il prendermi cura di lui.
Arrivati a Santhià gli porto la pesante valigia fuori.
Va a trovare la figlia: ha gli occhi felici.
Penso a Cosimo, che non c’è più. La prima persona che ho sentito parlare non potendolo, più, fare, pochi giorni prima di quel suo dire addio.
Un fuori programma mi porta ad Ivrea.
Gente, molta, aria di Natale, luci, bancarelle, stelle di Natale. Pure una pista di pattinaggio sul ghiaccio, animata dalle voci dei bambini, da quelle “ferite” che la lama dei pattini crea al ghiaccio, ma che hanno più il sapore di carezze.
Profumo di vin brulé.
Ed i ricordi mi riportano sempre là, là dove ho lasciato il mio cuore.
Cerco di scacciare quel pensiero, cerco di godermi ciò che lo scorso anno non avevo e che mi è mancato, in questo periodo: il freddo.
Mani in tasca.
Via Palestro termina, la fiumana di persone sfocia nella piazza del Municipio.
Casette in legno, profumo di crêpes, candele di cera d’api, prosciutti e salumi di Norcia.
Guanti, freddo. Le nuvolette che escono dalle bocche delle persone mentre parlano.
Giro l’angolo, mi isolo.
Colori.
Quei colori li riconoscerei fra mille al Mondo.
Mi avvicino, un po’ di più, poco alla volta, quasi con la paura di scoprire d’avere ragione.
Una signora leggermente scura di carnagione sta servendo dei clienti.
Guanti, braccialetti, babbucce.
“Questa signora è ecuadoriana…”, mi dice una voce nella mia testa.
Non sento più niente: né profumi, né suoni.
Mi avvicino, mi affaccio con il viso dentro la porta della casetta: non volevo la barriera del banchetto. Forse sarò insolente, maleducata, invadente.
Non ho il tempo di pensarci: l’ho già fatto.
Aspetto che la signora smetta di elargire prezzi. Aspetto. Chiudo gli occhi e mi lascio invadere da quei profumi di quella lana, di quei manufatti, di quella pelle, da quel suono di una lingua che maggiormente aumenta la dolcezza di quello/gli sguardo/i.
Non ho più pensato a niente.
Ho solo sentito la luce nei miei occhi ri-brillare.
Avevo ragione io: quella signora era ecuadoriana, di Otavalo, un piccolo paese a 100km al nord di Quito. Siamo rimasta a parlare, in spagnolo, in mezzo a persone troppo indaffarate con eventuali regali di Natale.
– “Le deseo lo mejor del Mundo, Señora.”.
– “A ti tambien, que regreses pronto al Ecuador.”.
Gli auguri più dolci e teneri e commoventi che potessi ricevere. In tutto questo freddo.
Barbara
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Pensieri dal vagone di un treno.
Chissà se il vuoto o il senso di abbandono o la fretta della vita altrui o il senso di inadeguatezza o quello di non identi(tà)ficazione in radici evanescenti potrebbero (e sottolineo il condizionale) portare me e persone a me vicine a questa scelta o ad una simile.
Ma poi penso anche alle malattie, alla povertà, a tutte quelle situazioni che portano persone, ugualmente senza viso né storia, per la globalità, ad andarsene per sempre e senza poterlo decidere.
Ho gli occhi lucidi, ed uno strano nodo alla gola…questioni che meritano comunque il rispetto, perché non c’è una morte che valga di più ed una che valga di meno. E’ uno sparire, è uno scomparire. Anonimo.
E allora, penso.
Sarebbe fantastico si potesse usufruire della vita nostra e di quella degli altri, prima che qualcosa o qualcuno ce la rubi. Sarebbe solo fantastico sentirsi, abbracciarsi, baciarsi, cercarsi, tenersi in conto, essere importanti e far essere e sentire importanti. Sarebbe fantastico ci si sorridesse e si approfittasse di questi momenti per dare e ricevere una carezza, uno sguardo, un po’ di affetto. Magari, potrebbe far soffrire meno, magari potrebbero far sentire meno soli e certe scelte, magari, non verrebbero nemmeno prese in considerazione. Sarebbe fantastico ci dessimo il tempo per esserci, a dispetto dei mille impegni dietro ai quali, sovente, ci nascondiamo o ci ripariamo, quasi fossero il nostro scudo.
Sarebbe fantastico si iniziasse, davvero, a ragionare con il cuore e si smettesse di far pompare sangue al cervello.
treno TO-BI, ven.22nov2008, 19h07
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Quito, parto.
Incosciente.
Non credo a ciò che sto facendo e a dove sto andando, nemmeno una volta in aereo.
Quito-Guayaquil-Madrid-Roma-Milano.
Un viaggio lungo, passato a guardare fuori dal finestrino, a ricordare: immagini, parole, visi di persone, luoghi.
Penso anche ad A.
Chissà, magari avrà cambiato idea, magari lo vedrò una volta all’aeroporto. Provo ad immaginare cosa farei. Ma non faccio niente di ciò che ho immaginato, visto che A. non ci sarà sul serio.
Roma e i miei desideri.
Lo guardo, e lo vedo invecchiato.
Ma non è cambiato.
Caldo, forte.
Roma. amorR. Me ne voglio andare il prima possibile.
E allora mi viene voglia di guidare.
Esco dalla porta e non vedo nessuno. Nessun viso conosciuto. Ma poi, all’improvviso, appare la mamma. Con il suo sorriso.
Anche lei mi sembra diversa. Ma non mi sembra sia passato un anno dall’ultima volta che l’ho vista.
Bhò. Ci abbracciamo, mi dice che sta bene.
E penso a me, come in un flash back.
Mancavano pochi giorni alla partenza. E A. era con me, anche se lontano.
Oggi la mamma mi dice che sta bene. Io sorrido, le sorrido, le faccio una carezza probabilmente con mani diverse, con un tatto diverso.
Non trovo risposta.
Penso. Ascolto gli ultimi pettegolezzi, interrotti da qualche sporadica domanda su di me e sul mio Ecuador…ma sono solo domande, la risposta non interessa.
Penso e cerco di fare un calcolo, senza usare le dita, per vedere che ore sono in Ecuador.
Profumo.
Quel profumo di mamma, che solo lei sa dare alle cose, soprattutto alle sue cose di casa.
Cucina, latte e grancereali. Do loro le cose che in questi mesi avevo preso, per loro.
Apro quelle valigie e vedo 365 giorni volare, come farfalle. E quindi sorrido, nel vedere il loro sorriso. Almeno, con i regali, sanno sorridere dell’Ecuador.
Salgo in camera. Un museo.
Tutto è come l’avevo lasciato io il 5 ottobre 2007.
Non c’è posto per tutte le cose sudamericane che mi sono portate dietro, e penso già che domani mattina dovrò cercare loro una sistemazione. Almeno, in attesa di una definitiva.
E così ti scrivo. Cerco di farlo con il sorriso, ma mi sento pesante.
Sarà il viaggio, saranno i ricordi o, peggio, i desideri.
Sarà che avrei voluto trovarti, perché forse questo rientro in casa sarebbe stato meno estraneo.
Sarà che mi sono già chiesta mille volte, che faccio domani? E dopodomani?
Solo un po’ di malinconia, passerà?
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Quito, arrivo.
Muzzano, la Stanza dei Soli, 6 ottobre 2007, 3h41
Profumo di bagnoschiuma al cioccolato. Pelle morbida.
Sono le 3.43 ed io sono appena uscita da una doccia bollente, una di quelle docce interminabili, che ti cuociono i pensieri e che distendono i nervi ed i muscoli.
Un groviglio di pensieri in testa e nello stomaco, soprattutto dopo una notte passata in bianco, ottenendo così un unico risultato: occhi pesantissimi e che bruciano.
Sto per partire.
Il viaggio sta per iniziare.
Spengo il pc e tutto inizierà.
Aggiorno da Madrid… se non mi addormento sulle panchine della sala d’aspetto.
🙂
B.
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Marsala
Marsala.
Marsala da sentirsela addosso, Marsala da ricordare e Marsala da desiderare.
Marsala da apprezzare, Marsala da odiare, Marsala da amare, Marsala da disprezzare ma in ogni caso, Marsala da voler trovare in ogni posto. Ad ogni costo.
Marsala dei profumi, dei silenzi, degli odori, delle lacrime, delle grida.
Marsala lontana, Marsala vicina.
Marsala dei controsensi: Marsala dei contro e Marsala dei sensi.
Barbara
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Aiuto.
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Un petit resumé / Un piccolo riassunto
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– début rédaction thèse
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– James est parti (rentré chez lui)
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– tous les autres, aussi, sont tous partis
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– finalement, moi aussi je suis partie, mais c’était un départ qui avait un retour, malheureusement : voyage en Thaïlande, où j’ai goûté mille beautés, parmi lesquelles celle-là d’être proche (physiquement aussi) à mon frère
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– rentrée à Gap un peu…uhm…bouleversante…début du vrai stress.
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– 25 ans
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– rentrée temporaire en Italie : thèse rendue au secrétariat et espagnol réussi…et qui pouvait crois que le « bloque » allait se « débloquer » ??
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– rentrée à gap : je m’entoure de la philosophie « peace and love », avec la promise de la garder le plus longtemps possible dans ma vie de tous les jours.
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– inizio scrivere tesi;
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– James è partito;
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– tutti gli altri pure, sono partiti
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– ..alla fine, anche io sono partita, ma era una partenza che prevedeva un rientro..purtroppo: viaggio in Thailandia, dove ho assaporato mille bellezze, fra cui anche quella di stare vicina ad Anto;
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– rientro a Gap un po’ tumultuoso…inizio dello stress, vero e proprio.
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– 25 anni
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– rientro temporaneo in Italia: tesi consegnata e spagnolo superato…e chi se lo immaginava che il blocco si sarebbe sbloccato???
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– rientro a Gap: abbraccio la filosofia peace and love, con la promessa di cercare di mantenerla nella mia vita quotidiana il più a lungo possibile…
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Dal produttore al consumatore…
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